giovedì 3 febbraio 2011

Metodo cartesiano e Ontopsicologia

Da Aristotele, a Cartesio, a Kant, fino ai nostri giorni, si discute ancora sull’esattezza di conoscenza dell’uomo in riferimento a se stesso e al mondo. Cartesio, ad esempio, nelle sue celebri “Regulae ad directionem ingenii”, definisce il “metodo” come “la via che la mente umana deve seguire per raggiungere la verità” (IV regola: «Necessaria est methodus ad veritatem investigandam). In termini pratici, tale metodo consiste in questo: si devono ordinare e poi disporre tutti gli oggetti che si vogliono comprendere e, via via, ridurre le proposizioni complesse e poco chiare in proposizioni sempre più semplici. Una volta intuite queste ultime, si può giungere a conoscere le proposizioni più complesse. Ciò che va sottolineato è che la comprensione delle proposizioni semplici si ottiene per intuizione, in quanto esse sono evidenti, non necessitano di alcuna dimostrazione.
Bisogna però osservare che, per quanto riguarda tutte le scienze matematiche e fisiche, è facile avere il criterio di riscontro, perché a documentare la conoscenza dell’uomo è l’oggetto (fin dove l’uomo riesce ad arrivare). Ma quando si tratta di filosofia, di psicologia, di sociologia, cioè di tutta la vasta gamma delle scienze umanistiche, che cosa garantisce il criterio di esattezza scientifico?
A tal proposito, nel libro “Nova Fronda Virescit. Introduzione all’Ontopsicologia per i giovani” il prof. Meneghetti scrive (nel cap. 1): “In tutta la problematica inerente la psicologia in genere, dov’è il punto di errore? Questo errore c’è, perché tutti ne abbiamo evidenza, sia nella vita individuale come nella vita sociale. La ricerca è affannosa, continua e manca di riscontro: più è grande questo errore, più è forte la sete di ricercare con esattezza scientifica. L’errore di fondo di tutta la psicologia e ricerca umanistica consiste nella mancanza di esattezza di coscienza. Quasi tutti gli esseri umani quando giudicano, quando confrontano, quando rilevano, hanno una coscienza non corrispondente al fatto esistenziale. Come si può fare scienza se la coscienza non risponde in modo adeguato al reale?”