giovedì 14 maggio 2009

La questione del razzismo nel sistema educativo dei Paesi industrializzati

Nel mondo più di un sesto dell’umanità (855 milioni di persone) alla fine del millennio erano analfabeti. Tra questi ci sono 130 milioni di bambini (di cui 73 milioni bambine) in età scolastica che non frequentano la scuola primaria. Per quanto tempo questo pianeta si potrà permettere un tale spreco di risorse umane? Ma forse il fatto è che anche le risorse impiegate stanno dissipando i loro sforzi. Vorrei rivolgere l’attenzione sull’educazione dei Paesi industrializzati ed evidenziare come anche in questi, benchè in modo diverso, ci sia un enorme depauperamento del potenziale uomo nell’ambito educativo.
Nei Paesi industrializzati quasi il 98 per cento dei bambini frequentano la scuola. Nel prologo della Convenzione sui diritti del Bambino si sottolinea come i bambini che vivono in zone rurali abbiano meno opportunità di coloro che vivono in città, di ottenere un’educazione di buona qualità. Ma una volta che questi bambini frequentano la scuola, saranno in grado di contare e pensare bene per il sociale che li attende? Secondo un’analisi condotta - in 29 Stati - dalla Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo con sede in Parigi, la risposta è no. Inoltre un 20 per cento di giovani lasciano la scuola senza un titolo adeguato per trovare un lavoro o un’utilità nel sociale.
I governi devono fare in modo che tale disparità sparisca. Senza un’educazione appropriata, la gente non può lavorare in modo produttivo, tutelare la propria salute, proteggere se stessi e lo spazio in cui vivono.

Nell’ambito dell’educazione industriale ciò che maggiormente si riscontra, almeno secondo molti rapporti di enti governativi, è la violenza all’interno del mondo scolastico. Questo contesto sembra essere accomunato da un qualcosa che si rivela uguale negli Stati Uniti, come in Italia come in Russia o in Brasile, in Olanda, in Francia come in Cina. La gioventù di oggi sta assumendo un ruolo di violenza contro le istituzioni e le parti più vicine al suo mondo come la famiglia e la scuola.
Negli USA ormai si parla di Columbine Effect, riferito alla stragi compiute dagli studenti nelle scuole. Sono rancori che derivano da derisioni, forme di discriminazione e di razzismo che sfociano in una forma di aggressività inaudita: sparare contro tutto e contro tutti. Insegnati o compagni di scuola indifferentemente. Eppure si dice di loro che erano ragazzi bravi, modello, sensibili, tranquilli. Ma la violenza nell’ambito scolastico non riguarda solo questi casi estremi, ma soprattutto quella esercitata nella vita quotidiana all’interno della scuola. Per esempio i bambini in Inghilterra are frequently bullied by other children in the shool yard. Negli Stati Uniti, da un rapporto del 1995, il 4% degli studenti tra i 12 e i 19 anni reported experiencing violent victimization while in school. In sweden, accordin to some reports, each semester 1.500 boys and 500 girls on average, require medical treatment following attacks by other sudents. La stessa cosa si sta verificando all’interno della famiglia, la cronaca di tutto il mondo è piena di questa realtà, figli che uccidono i genitori, i fratelli etc. C’è da chiedersi se l’ambito educativo sia carente solo da un punto di vista accademico oppure anche nel più importante campo di responsabilità sociale, emozionale, spirituale e morale.
La Convenzione sui Diritti del Bambino sottolinea l’importanza di un’educazione di alta qualità che può essere portata avanti solo da innovazioni nel campo educativo. E sottolinea che le scuole devono essere luoghi di creatività, sicurezza e stimolo per i bambini, posti in cui i bambini si aspettano non solo di trovare acqua potabile o strutture sanitarie accettabile, ma insegnanti motivati ad interagire con loro con capacità rilevanti e idonee ad educarli.
I 130 milioni di bambini che non vanno a scuola sono una perdita per l’evoluzione del pianeta, ma ritengo ancora più grave come sperpero andare a scuola e uscirne impreparati ad affrontare la vita reale.